martedì 30 novembre 2010

La Situazione Archetipica dell'Umanità

Diego Pignatelli Spinazzola


E' facile constatare di come l'umanità viva una situazione archetipica degenerata in epidemie psichiche,ciò che noi comunemente chiamiamo schizofrenia collettiva.Non potremmo mai trovare casi isolati di questo fenomeno regressivo,se non comprendiamo che tale fenomeno appartiene all'attuale umanità.
Con la presunzione di voler liquidare la sua situazione archetipica,l'uomo ha commesso un grave errore.Il dominio di un autocontrollo sull'archetipo ha invece predisposto l'archetipo ad assoggettare l'individuo.Queste epidemie sociali e collettive chiaramente lo dimostrano.
La psiche è di natura costitutiva dell'archetipo dell'inconscio collettivo ed in essa si costella il simbolismo psichico come potente catalizzatore archetipico.La dissociazione prodotta dall'uomo sulle dominanti dell'inconscio collettivo ha provocato un indescrivibile scissione dall'archetipo costituente,simbolo di una situazione originaria della psiche,partecipativa e co-creativa da cui l'essere umano ha preso vertiginosamente le distanze.Il risultato è il disastro tecnologico,ambientale,ecologico e socio-politico riflesso di vere e proprie ipertrofie di questo fenomeno antropocentrico ed individualistico sociale collettivo.
L'imbarbarimento sociale si estende a quello ossessivo maniacale,patologico ed intrapsichico conflittuale dell'uomo che non trova rimedi e panacee possibili alla sua eccentrica atomizzazione individuale di natura omologante.
Ci apriremo forse a nuovi fenomeni di una società delirante?
Servirebbe forse un ultima regressione positiva per l'uomo per tornare alla sua situazione originaria ed ad una nuova identità che prenda in mano le radici dell' l'universo?Servirà forse un nuovo contatto con l'Invisibile e con i suoi Spiriti?Servira forse per l'umanità ritornare al suo primordiale simbolismo di natura archetipica e scartare la componente referenziale e materialistica che tende ad assoggettare il dominio delle idee e dei simboli ed a confonderlo con un concreto individualismo di massa?
L'uomo non potrà mai liberarsi dalla sua situazione archetipica a prezzo di procurarsi una nevrosi,come direbbe Jung.
E' il prezzo che l'umanita sta affrontando:quello di sganciarsi dalle determinanti archetipiche e farsi indipendente da esse.Ne conviene però che uomo ed archetipo sono inseparabili più che mai e che dovunque ci sia l'individuo è prefigurata per così dire la sua situazione archetipica pregna di costellazioni simboliche fin dall'inizio.
Ma la presunzione individualistica è stata quella di smantellare i simboli e di sradicarsi da essi,con una conseguenza a dir poco epidemica e sociale.I simboli non partono più dal centro,dalla totalità del Sè,ma dipartono dalla periferia,dall'ego e diventano psicopatologie.
Siamo così confluiti dalla visione unitaria del centro,del Sè,situazione originaria della psiche,alla periferia dell'ego,con tutte le sue diramazioni e sottodiramazioni patologiche inquadrate in odierne schizofrenie e disturbi della personalità.
L'uomo non ha più il visto per avere accesso al suo inconscio ed è per lo più troppo debole per esplorarlo ed autoesplorarsi dall'interno.Ecco che così la scienza e la neuroscienza ufficiali lanciano nuovi paradigmi sul cervello con strumenti per esplorarlo a dir poco "materialisticamente"riduzionistici che parlano di logiche computazionali e connessioniste che in nessun modo possono permettersi di avere accesso alla regione inconscia,giacchè essi non osano tentare la grande esplorazione,la grande avventura interiore,così com'è stata per Jung e William James,veri e propri pionieri dell'inconscio.
No,lo scienziato odierno è più un pallido vivisezionatore,disincantato,scettico materialista che non osa guardare al di là della "soglia" non solo per mancanza di strumenti e assenza di indole eroica ma perchè egli ha scisso l'oggetto dal soggetto scartando come unica e probabile variabile di ricerca l'oggetto e lo sperimentante dell'esplorazione,cioè se stesso.
Il panorama attuale neuroscientifico offre ben poche ipotesi per una possibile riscoperta della psiche ed al suo ineffabile mistero.Si interessa per lo più di ipersemplificare quei processi dinamici ed intrapsichici che sarebbero più pertinenti alla psicologia dinamica e junghiana con teoretiche ipotesi sperimentalistiche,che come direbbe Freud,non fanno altro che deviare strumentalmente la ricerca sbarrando preventivamente la strada alla via regia per l'inconscio.
Strumentalizzare riduzionisticamente la psiche,è un errore che le neuroscienze e le scienze cognitive stanno commettendo nell' ignorare le determinanti psichiche funzionali alla natura della psiche umana,cioè la dimensione archetipica e l'inconscio.
Non spetterà che alle nuove generazioni scientifiche far quadrare il cerchio.
Gli junghiani sanno che questo compito spettò al Maestro,è e che esso potrebbe rivelarsi comunque un arduo e gravoso compito al cospetto di un umanità sempre più insensibile e staccata dal fine,dal significato e dal messaggio archetipico che i grandi ci hanno da sempre consegnato.







L'Anima Mundi e la snaturalizzazione dell'occidente nella prospettiva junghiana.

Diego Pignatelli

Quello che all'uomo comune appare un tessuto di relazioni, sociale, interpersonale e collettivo, nell'attuale e delicata fase storica e politica e quindi sotto un profilo ottimistico che accomuna l'uguaglianza e la norma, lo psicoterapeuta di scuola junghiana lo vede come un percorso evolutivo ma non pieno di insidie.
Proprio perché invertendo il paradosso umano, lo psicoterapeuta ne intravede il tranello e si avvicina al significato nascosto in esso ed al senso da interpretare, potremmo ben dire con Jung che l'umanità vive uno stato di incoscienza infantile ed immatura perché incosciente di pericoli che possono profilarsi all'orizzonte.
Non si tratta di essere pessimisti od ottimisti ma invertendo i contrari abbiamo differenti equazioni che gli junghiani asseriscono quali leggi governate da dinamiche psichiche che sono oggettive ed universali quanto il miscredente scetticismo nei riguardi di ciò che ne compete alla professione di analista junghiano.
L'attuale crisi di significato porta gli junghiani a intravedere il senso distorto e fuorviante che affiora nel nostro contesto sociale collettivo. La stagnazione creativa dell'occidente è conseguenza della dissociazione culturale e simbolica con cui l'uomo occidentale è dovuto venire a termini. Conseguenza anche della distorsione di un percorso cominciato con l'anima del mondo, la visione degli antichi, e finito in una radicale frammentazione e disgregazione ed occultamento nell'epoca attuale e postmoderna. Frammentazione facilitata dalla rivoluzione scientifica, dal progresso e dalla massificazione, causa di pseudo-ideologie e da una prospettiva potenzialmente pericolosa rappresentata dal prevalere di un nuovo pericolo: l'uomo di massa.
Allora l'utopia di massa prevale su quella del singolo a forza di omologazione culturale. Junghianamente parlando la dissociazione collettiva con le sue isterie autonome, prevale sulla visione unificante ed individuante della psiche creativa del singolo.
Ecco perché Jung avvertiva l'indigenza del suo tempo, che non era capace di affrontare consapevolmente i pericoli che asserragliavano l'anima dell'occidente.
Cosa che Jung faceva attraverso la mediazione dello spirito del profondo (C. G. Jung, The Red Book, edited by Sonu Shamdasani, Norton publication 2009) empi e folli nonché sani di mente ma radicati contestualmente in quest'epoca di "fare sociale" politicizzato non convergeranno con la prospettiva junghiana del ritorno all'anima indivisa, poiché ciò che ha senso per gli ultimi non ha nessun senso per i primi. E' la solita disputa tra riduzionisti e i platonisti, scettici e animisti, storia e mito.
Il maggior fraintendimento quando si incontra la figura di Jung, è che egli riconduceva tutte le leggi psichiche a dei principia universalis anche quando affermava contraddicendosi di essere il più scientifico ed empirico possibile (Sonu Shamdasani 2009).
Oggi sono molte le miscredenze nei riguardi dell'anima e molti ancora inquadrano la spiritualità come un’inutile menzogna che l'uomo da sempre ha bisogno di raccontarsi.
Vengono così rifiutate le meta-narrazioni che inneggiano all'anima mundi antica che l'uomo ha drasticamente abbandonato perché scisso il bene dal male, la coscienza dall'inconscio, i capricci ed i dilemmi nonché i paradossi che all'umanità si presentano si sono rapidamente amplificati.
Si è ridotta invece la coscienza e con essa la sensibilità noetica e spirituale al subentrare di una desacralizzazione e negazione del mito e dell'immagine e con essa degli invisibili accadimenti dello spirito che governava la dimensione umana degli antichi.
I dilemmi che rendono ancor più difficile la comprensione della spiritualità umana sono comuni tra i materialisti che appartengano al campo della scienza o no.
Invertendo però le false coordinate gli junghiani possono offrire delle sicure linee guida alla disastrata condizione di negazione animistica dell'umanità.
Se l'umanità e con esso l'occidente presenta molte contraddizioni ed antinomie in questione di sicuro la chiave junghiana di lettura possiede la sicura panacea.
Se l'uomo occidentale inconsapevolmente vede il bene lì dove non c'è e da valore solo a quello che vede e che sente, uno psicoterapeuta junghiano si accorgerà del sottile tranello che sta regnando come utopia nell'uomo occidentale; quel pragmatismo ottimistico nel fare sociale e nella competizione, nel fare affidamento alla sola e per lui unica realtà convenzionale, non può servire a granché se non si prende in considerazione il profondo deficit spirituale che ha comportato una totale scissione di significati per l'intero occidente.
Escludendo l'uno, l'uomo si è trovato nel due, ma per una risoluzione dei contrari che lo assillano egli deve per forza ritornare a quell'Uno dalla cui matrice si è irrevocabilmente allontanato. Quell'uno è l'anima mundi, la radice unitaria quale fondamento e premessa per una riconnessione psichica dell'uomo occidentale. Di questa riconnessione c'è l'urgenza poiché il disastro psichico dell'umanità è quello di aver alienato una realtà da un altra, di aver espulso il mito dalla storia e con esso i suoi dei e demoni, i suoi fantastici racconti primordiali che non trovano più spazio nell'anima dell'occidente dominato da un fervido ed ottuso materialismo.
E se l'occidente non ritrova i suoi dei, essi si manifestano in sintomi e psichismi collettivi che soggiogano l'individuo e la massa, l'uomo e la società. Ecco perché gli junghiani sanno vedere oltre il tranello dell'emancipazione soggettiva ed oltre l'indipendenza dai quei valori simbolici che costituivano un inestimabile patrimonio della psiche.
Allora non c'è che dire, vai così occidente. Continua così... per il tuo percorso artificiale, snaturato e contorto ricco di insidie e povero d'anima.
Di quell'anima che echeggiava nella visione degli antichi e che in Jung vedeva un possibile ritorno all'anima mundi, alla totalità psichica, equilibrio di forze e punto di connessione con l'inconscio collettivo. E se l'individuo per lo più collettivo stenta a riconoscere questa dialettica tra psiche ed anima, storia e mito e che egli reputa un dialogo incomprensibile non c'è altro che constatare la sua disfatta spirituale e psicologica. L'universale disfatta dell'occidente identificatosi nei pochi frammenti della sua realtà psichica.

Riferimenti:
C.G. Jung, Gli Archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
C.G. Jung, Tipi Psicologici, Newton and Compton editori Roma, 2009.
C.G. Jung, La psicologia dell’inconscio, Newton and Compton editori, Roma, 1989.
C.G. Jung, La libido, simboli e trasformazioni, Newton Compton Editori, Roma, 2006.
C.G. Jung, Aion: Ricerche sul Simbolismo del Sè, in Opere Vol 9** , Bollati Boringhieri, Torino, 2005.
C.G. Jung, Psicologia e Alchimia in Opere Vol 12, Bollati Boringhieri editore, Torino, 2006.
C.G. Jung, Scritti Scelti a cura di J. Campbell Red Edizioni, Milano, 2007.
C.G. Jung, The Red Book, edited by Sonu Shamdasani, Norton publication, 2009